mercoledì 22 luglio 2015

Aggiunte su Lo Presti / Addings

(immagine dal link)

In concomitanza con l'asta Ebay non ancora conclusasi (prezzo corrente offerto 149 euro) de il rarissimo L'indominio della discordanza del discusso Lo Presti (vedi mio post 1 e 2), ho ricevuto una bella mail di un lettore, Danilo, che mi ha segnalato un ritaglio trovato in una copia de Il cacciatore di campanelli, la seconda edizione del libro - con titolo diverso - e anch'esso oggetto del desiderio di molti bibliofili.
Di lui esistono pochi riferimenti bibliografici o commenti alle opere, essendo un autore "scomodo", come leggerete sotto.
L'articolo è di Ernesto Gagliano, lo riporto per intero:

"Venga a trovarmi a casa: così vede come vive un rinnegato». E' un piccolo alloggio, sospeso su gironi di ballatoi all'ultimo piano di un vecchio edificio nei pressi di piazza Vittorio. 
Giuseppe Lo Presti, 32 anni, la faccia di ragazzo affabile e un pesante fascicolo giudiziario alle spalle come «terrorista di destra», ci viene incontro: ha fatto 13 anni di carcere, da quattro mesi è fuori e abita lì con la sua compagna Marcella. C'è aria di Anni Settanta finiti male. Sul tavolino spicca un romanzo appena pubblicato negli Oscar Originals della Mondadori: «Il cacciatore ricoperto di campanelli» (pp. 122, L. 12 mila) che sarà in vetrina nei prossimi giorni. Era già uscito nelle edizioni Barbarossa, una «cooperativa di camerati», con lo strano titolo «L'indominio delle discordanze». L'ha riscoperto Aldo Busi il quale nella prefazione tesse le lodi del testo e si avventa contro i «grandi fighetti editoriali» che ci offrono sempre la stessa pappetta americana invece di cercare la vera letteratura spesso «sporchina e unticcia», spesso accompagnata da zavorra e liquami.
Il romanzo di Lo Presti, ambientato in una livida Torino, è un impasto di amore e disperazione, una rivolta interiore sospinta da un ritmo serrato: contro l'ordine delle cose («questo mondo nel quale tutto è sistemato in modo idiota»), contro l'affetto totalitario della madre, contro l'accettazione delle ingiustizie quotidiane.
C'è anche la ricerca di una misteriosa ragazza (vergine o prostituta) e la preghiera a un Dio perchè cambi le cose, ma lui non risponde; e allora il protagonista va da un prete e nel silenzio della sacrestia gli fa una strana proposta: «Le chiedo di sbattezzarmi». Il resto è tragedia annunciata.
Quando ha scritto questo romanzo? «Quand'ero in carcere a Volterra. L'ho cominciato per gioco».
Con che accusa è finito in prigione? «Associazione sovversiva e compartecipazione nell'omicidio Buzzi».
Giuseppe Lo Presti ammette alcune cose, altre le nega: nei suoi discorsi il confine tra verità e menzogna è incerto. Dice: «Aiutavo facendo delle rapine: sa, quello che serviva. Erano gli anni della foga, '76-'77». Che gruppi aiutava? «I Nar». Ma si affretta a precisare: «Niente roba di sangue. Non ho mai partecipato a delitti. Sono entrato in politica trascinato dall'amicizia».
Spiega che nel suo romanzo c'è «un prototipo di libertà e giustizia che è dentro ognuno di noi». Non ha voluto raccontare le vicende che l'hanno condotto in carcere? «No. Sono tutte storie uguali: si può tracciare il percorso fino alla morte». Ci tiene però a dire: «Non sono né dissociato né pentito. Se vi sono delle rimozioni sono dentro di me». E quella disperata preghiera che compare nel racconto? Lui confida: «E' un episodio che ho cambiato. Nella prima versione volevo buttare Dio nel Po con un gesto simbolico..». Perché? Allarga le braccia: «Perché è un utensile inutile».
Appare duro, dietro un sorriso cordiale. Ammette: «Siamo stanchi di essere arrabbiati. Adesso vivo di riflessione, mi piacerebbe mettere negli altri il dubbio..». E afferma di voler rifare il mondo con «gli strumenti della conoscenza». Scrivendo? «No, quando scrivo mi basta raccontare quello che è. E non sempre è gradevole. Bisogna cercare come i chirurghi, a volte sporcarsi le mani».
La politica? «Sono impegnato a scrivere e a stare tranquillo con la mia compagna. Sa, 13 anni di carcere ti fanno cambiare opinione». Vuol però commentare il congresso del msi: «Sono contento che abbia vinto Rauti, speriamo che possa dare una spolveratina a questi pipistrelli, speriamo che abbia la stessa energia degli Anni Settanta». A Torino lei ha compiuto rapine? «Sì, tra l'altro una bellissima alla Thomas Guardi nel giugno '77». E che cosa avete preso? «Un cento milioni». Come li avete spesi? «Sono stati spartiti tra i gruppi dell'estrema destra».
Lo Presti ora ha un contratto dell'editore e sta lavorando a un altro romanzo. «Anche questo sarà "ai margini". E' l'avventura di un uomo che commette diverse scelleratezze». Sempre ambientato a Torino? «Sì, perche Torino mi è stata ostile, lasciandomi fuori dalla porta...» Ricorda che è arrivato qui da Alcamo nel 1967 con il padre, che faceva l'imbianchino, e la madre. «Ero un ragazzo di undici anni, sradicato dal suo paese, dove la vita aveva ritmi diversi...».
Sembra cercare un'altra rivalsa nella letteratura. «Ho un casino di cose da dire, la Mondadori mi ha dato la voce...». Esce sul ballatoio, guarda oltre le scale grigie, oltre i muri scrostati, nell'azzurro sporco di smog. «Questa metropoli è causa della mia rovina, mi ha smarrito...».

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